Pubblicato il 08.03.19
L’apparato radicale del riso si compone diverse tipologie di radici che differiscono tra loro per struttura istologica e anatomica, nonché per funzione. Si distinguono radici dette seminali che originano dall’embrione del seme e che degenerano rapidamente, della corona che si formano progressivamente a partire da ciascuno dei nodi alla base del culmo e, infine, avventizie che si differenziano a partire dai nodi aerei. Indipendentemente dall’origine da ciascuna radice possono svilupparsi radici secondarie. Il numero, la lunghezza e l’angolo di crescita di questo insieme di radici costituiscono l’architettura dell’apparato radicale, un tratto morfo-funzionale stabilito da determinati genetiche e dalla loro interazione con i fattori ambientali, inclusi quelli che si instaurano nel suolo come conseguenza di agrotecniche specifiche.
Architetture radicali che privilegiano lo sviluppo delle singole radici negli strati più superficiali del suolo favoriscono l’acquisizione dei nutrienti minerali meno mobili, mentre architetture più profonde garantiscono un’efficiente acquisizione di acqua e dei nutrienti minerali più mobili (Fig. 1). Quindi le cultivar di riso caratterizzate da architetture radicali più profonde sono più adatte di altre a condizioni di bassa disponibilità di azoto nitrico, mentre quelle con architetture radicali più superficiali sono adatte a suoli con scarsa disponibilità di fosfati.
Fra le variabili ambientali che più di altre influenzano l’architettura radicale delle piante vanno considerate le proprietà fisiche (tessitura, compattezza, densità, porosità, permeabilità), chimiche (pH, pressione parziale di ossigeno, dotazione di sostanza organica, disponibilità di elementi minerali nutritivi) e microbiologiche (microrganismi rizosferici promotori di crescita, simbionti o patogeni) del suolo. Ne consegue che l’efficienza complessiva in risicoltura di agrotecniche, come il sovescio di colture intercalari o quelle che prevedono lavorazioni minime del terreno, che esercitano forti impatti sulle caratteristiche e sulle fertilità del suolo può essere fortemente condizionata dalla scelta di cultivar dotate di specifiche architetture radicali o di una spiccata plasticità di modulazione di questo tratto morfo-funzionale. Le azioni dimostrative svolte hanno avuto lo scopo di illustrare sperimentalmente questo aspetto.
Figura 1. Ideotipi di apparato radicale
Le tecniche di agricoltura conservativa che prevedono lavorazioni minime del suolo hanno effetti significativi su gran parte dei fattori fisici, chimici e microbiologici edafici. Ne deriva che la scelta di genotipi di riso con architettura radicale di per sé più adatta, o comunque in grado di modellarsi efficacemente in risposta alle diverse condizioni del suolo, è un fattore determinante per garantire gli standard produttivi e l’operatività di tali agrotecniche.
La prova dimostrativa relativa agli effetti di tecniche dell’agricoltura conservativa sull’architettura radicale è stata realizzata nell’appezzamento situato nel comune di Pieve Albignola (PV) costituito e gestito come descritto in precedenza in questa relazione. L’attività ha previsto confronti fra la coltivazione di due varietà di riso, Sole e CL15, secondo la tecnica convenzionale (“aratura”), la tecnica di minima lavorazione del suolo (“minima”) e quella che prevede la semina su sodo (“sodo”).
I campionamenti delle radici sono stati effettuati quando le piante erano allo stadio di IV foglia espansa e le parcelle non avevano ancora avuto apporti di fertilizzante ureico e allo stadio di fioritura, quando le parcelle aveva già ricevuto una dotazione di 120 kg ha-1 di azoto minerale.
I campionamenti delle radici sono stati realizzati interrando, perpendicolarmente alle fila di semina, due lamine parallele di acciaio dotate di bordi taglienti (Fig. 2a) ed estraendo da esse, una volta rimosse, il blocco di terreno che includeva l’apparato radicale (Fig. 2b). L’eccesso di suolo adeso alle radici era rimosso con prolungati lavaggi (Fig. 2c). Gli apparati radicali erano quindi fotografati e le immagini sono state analizzate con il software SmartRoots® (Fig. 2d). Questo programma permette di definire l’angolo (ϴ) di sviluppo delle radici superficiali rispetto al piano di campagna (Fig. 2e), il numero e la lunghezza media delle radici, nonché la proiezione sul piano del volume occupato dall’intero sistema radicale, cioè l’area dell’inviluppo convesso (AIC; Fig. 2e) definito dall’apparato radicale che stima, con buona approssimazione, il volume di suolo che esso esplora.
La semina su sodo determina effetti marcati sull’architettura radicale di entrambe le cultivar (Fig. 8). Tali effetti, già evidenti in fase vegetativa, sono riscontrabili anche negli apparati radicali delle piante in fioritura. Molto più limitate sono le differenze attribuibili alla lavorazione minima del suolo. In particolare, la lunghezza media delle radici, il loro numero e il volume di suolo esplorato risultano negativamente influenzati dalla semina su sodo. È comunque evidente (Fig. 3) che gli effetti riscontrati a carico della varietà Sole siano di minore entità rispetto a quelli osservati nel caso della varietà CL15. Sempre riferendosi al primo campionamento, la lavorazione minima non influenza in alcun modo, sia nel caso di Sole che di CL15, la lunghezza media delle radici, il loro numero e il volume di suolo esplorato. Questa tecnica agisce solo significativamente sull’angolo di inserzione dell’apparato radicale e ciò appare più evidente per Sole che quindi sembra manifestare una buona capacità di penetrazione del suolo anche in assenza di lavorazioni profonde.
Il secondo campionamento effettuato in fase di fioritura delle piante mostra come l’effetto della lavorazione minima del suolo sull’angolatura degli apparati radicali si affievolisce sino a scomparire, mentre emergono chiari effetti di riduzione del volume di suolo esplorato rispetto a quello che risulta nel caso della lavorazione tradizionale (Fig. 3). Anche in questo caso comunque Sole risulta meno influenzata che CL15: -15% rispetto a -30%.
Le osservazioni effettuate permettendo di concludere che:
Effetti di tecniche di agricoltura conservativa sulle popolazioni microbiche rizosferiche delle cv di riso Sole e CL15
Confrontando le tecniche di lavorazione conservativa con quella tradizionale è possibile registrare come i batteri aerobi totali e azoto-fissatori erano sfavoriti dalla semina su sodo rispetto alla semina su suolo arato. La microflora anaerobica totale non variava, mentre quella azoto-fissatrice aumentava progressivamente nelle condizioni di minima lavorazione e sodo rispetto alla condizione di aratura.
È stato possibile osservare che i regimi di lavorazione conservativa hanno influito positivamente sulla popolazione microbica anaerobica e negativamente su quella aerobica, verosimilmente per la maggiore compattazione del suolo e il minor grado di aerazione. Questo potrebbe abbassare la mineralizzazione della sostanza organica, in quanto i batteri aerobi hanno un metabolismo più accelerato. Gli effetti della minima lavorazione e di suolo arato sulle comunità microbiche sembrerebbero essere più simili tra loro rispetto alla semina su sodo.